La visione di un paesaggio è improvvisamente interrotta dal passaggio di un treno, che entra nell'inquadratura. Oscura la vista, copre il suono della natura. I treni, ce l’insegna anche la storia del cinema, rappresentano una fascinazione tecnologica, un’attrazione industriale, ma sono anche il simbolo di un progresso disinteressato al mondo e all’uomo (si pensi al mito fondativo del vecchio West), teso alla merce, al valore economico e non a quello morale. Allo stesso modo Ramiro, giovane musicista al debutto, è sopraffatto dalla macchina produttiva che lo seduce, ma che lo agita, lo spaventa, perché omologa e svende.
L'intero film è basato, sin dal dispositivo che mette in gioco, sul conflitto tra necessità e libertà, tra imposizione e arbitrio: è stato progettato secondo le modalità tipiche dell'arte concettuale, come se fosse un disegno di Sol LeWitt. C’è un’idea. E ci sono le istruzioni per metterla in forma. A chiunque abbia preso parte al film (dagli attori sino a chi ha curato la post-produzione) sono state date regole da interpretare ed eseguire secondo la propria esperienza e il proprio punto di vista, e i limiti entro cui muoversi. Galbiati - come già nel film precedente presentato a Filmmaker, LXXI - propone un cinema del reale che parte da una scrittura forte, ai limiti dello strutturalismo, e lascia che il suo schema venga messo in crisi, abitato, e vissuto, dal re-enactment del sé (gli attori sono prossimi ai ruoli che interpretano). Il conflitto tra progetto industriale e libera espressione che anima e mette in ansia Ramiro è già lì, nel dispositivo cinematografico, nello scontro tra struttura e lavorazione. A Galbiati non serve ricorrere alla psicologia: la trova nelle risposte, nei gesti con cui la sua troupe reagisce. C’è il nome di James Benning, nei titoli di coda: non è, evidentemente, un caso.
Carlo Galbiati (Brescia, 1990) vive e lavora a Milano. Ha frequentato la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, per poi approfondire lo studio della regia studiando come allievo di Mirko Locatelli. Ha scritto e diretto i cortometraggi Comunione (2017) LXXI (2018) e Ful'gore (2019). Nel 2018 ha fondato la Bagigi Cinematografica.