Da quando sua figlia Ella ha compiuto due anni il regista la coinvolge in un gioco, quasi un rituale che si svolgerà periodicamente il giorno del suo compleanno: seduta su un divano Ella deve rispondere alle domande del padre, sempre le stesse, mentre lui la filma. Non sappiamo né vediamo cosa è accaduto nel frattempo né quanto c'è intorno, solo Ella che si muove nell'inquadratura. Eppure questo “frame” di spazio e di tempo racchiude infiniti racconti possibili. A ogni nuovo appuntamento scopriamo una Ella differente, che dalla bimba con gli occhioni azzurri e i boccoli biondi dei primi anni ci svela la ragazza alle prese con gli interrogativi sul futuro.
Sorpresa con innocenza la prima volta – «cosa dici della relazione tra me e te» le chiede il padre, «è bella» risponde lei – crescendo si fa un po' più vezzosa e piano piano si accorda a quella stravagante festa di compleanno; confida alla macchina da presa la passione per i lollipop e il sogno di diventare cantante; un po' si ritrae, sfugge, poi torna, divaga, si mette in posa. I capelli si fanno più scuri e lunghi, le magliettine rosa dell'infanzia sono state sostituite da abiti neri; il volto nei giorni dell'adolescenza è affilato, lei appare spaventata e più fragile, poi torna sicura, scopre il mondo, l'impegno, l'ecologia. Le trasformazioni fisiche restituiscono il flusso del tempo – della vita, del cinema – componendo la trama di un sentimento profondo che riguarda i cambiamenti, che ci dice lo spavento di ciascuno nel mondo davanti all' idea di crescere e soprattutto restituisce il rapporto tra un padre e una figlia con commuovente dolcezza.
Jay Rosenblatt (New York, 1965) è un filmmaker e artista indipendente la cui opera è stata presentata in molti festival internazionali tra cui Sundance, Festival di Rotterdam, Locarno Film Festival e in istituzioni come il MoMa e il Film Forum di New York. Con l'uso di found footage, materiali d'archivio, home movies, dal primo cortometraggio in bianco e nero,
Doubt (1981) la sua ricerca si concentra su nuclei emotivi, esplorando stati d'animo universali come il lutto (
Phantom Limb, 2005), le conseguenze dell'autoritarismo e del potere (
Human Remains, 1998), il rapporto tra la paternità e fare film (
I Used to Be a Filmmaker, 2005).
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